Negli occhi di chi ti guarda

Ognuno ha una favola dentro, che non
riesce a leggere da solo.
Ha bisogno di qualcuno che, con la
meraviglia e l’incanto negli occhi,
la legga e gliela racconti.
(Pablo Neruda)

Una poesia, questa poesia, per condividere riflessioni su un tema che mi è sempre stato caro come donna e come psicoterapeuta.
In poche righe, un grande Poeta, riesce a condividere con il lettore un’immensità di significati.
Fin dalle nostre origini è chiara l’importanza dell’altro.
Lasciati da soli non sopravviviamo.
Lasciati da soli emotivamente inaridiamo.
La favola che abbiamo dentro può trasformarsi in sogno carico di angoscia, in triste realtà.
Facile, dirai tu che leggi. Avere sempre qualcuno accanto è l’antidoto a ciò che la solitudine prospetta, ma avere accanto ed essere guardati non sono realtà che sempre coincidono.
Lo sguardo, il modo in cui siamo riflessi negli occhi di chi ci sta davanti: è lì il nucleo, lì è l’essenza.
Chiedo sempre a chi intraprende un percorso con me: chi sei negli occhi di chi ti guarda?
Ogni risposta apre scenari importanti…
Chissà se tu che stai leggendo hai trovato la risposta.
Chissà se ti senti consapevole del tuo valore;
dell’esistenza di una favola che aspetta di essere svelata.
“Occhi pieni di incanto” recita Neruda.
Uno sguardo può raccontare tanto. Attraverso gli occhi di chi ci guarda possiamo ricevere approvazione e accoglienza oppure disappunto e rimprovero.
A volte i nostri difetti vengono amplificati, altre volte divengono
incantevoli imperfezioni che ci fanno sentire unici.
Nasce spontaneo pensare che allora dipenda tutto dagli altri.
Favola o incubo: è determinato da chi guarda? Non è così.
Certamente però molti di noi lo imparano dal riflesso di chi ci sta davanti.
Noi impariamo ad amarci e accettarci così come siamo oppure impariamo a viverci come nemici ostili da combattere.
Approvazione o disappunto. Favola o incubo.
Uno sguardo accogliente e amorevole ha il potere di lenire le ferite e di guarirle.
Dovremmo tutti imparare a guardarci e a guardare con “occhi di incanto”, lasciare che la magia dell’amore ci contamini e ci trasformi.
Dovremmo tutti legittimarci a chiedere di essere guardati e ascoltati perché soltanto così rivolgeremo a noi stessi interesse e approvazione.
Dovremmo tutti imparare ad ascoltare e a rivolgere uno sguardo curioso, uno sguardo che ha il tempo e il desiderio di cercare quella favola che spesso è nascosta dietro paure e disillusioni.
Per trovare è necessario voler cercare.
Molte volte chi non crede nella favola è proprio colui che la ospita.
Spesso mi succede di avere in studio, nella poltrona di fronte alla mia, un’incantevole creatura che si descrive con giudizi acri e ostili, che parla di sé con disappunto e angoscia.
È in quel momento che ho la misura della mancanza dell’incanto in quella vita.
È quello il momento in cui comincio a pensare che dai miei occhi, in quel setting,
l’esperienza dell’incontro può diventare una possibilità preziosa.
Le parole, strumento per eccellenza della psicoterapia, lasciano il posto allo sguardo: strumento di eccellenza di ogni essere umano.

Non è ancora tutto passato

Stiamo vivendo un tempo che vorremmo tutti collocare presto nel passato.

Vorremmo poter svuotare la nostra testa da immagini, sentimenti di paura, di dolore, di incertezze e preoccupazioni che abbiamo immagazzinato in questo tempo di pandemia. Come psicoterapeuta però constato ogni giorno una triste verità.

La sofferenza delle persone è spesso causata dalle difficoltà a lasciare andare ciò che è accaduto prima, anche quando a quel prima siamo sopravvissuti.

L’EMDR, un metodo psicoterapeutico di comprovata eccellenza nell’elaborazione dei traumi, ci mostra come ogni evento, piccolo o grande, che abbia causato un trauma e che è rimasto nelle reti mnestiche senza essere elaborato, continua a produrre danni dentro e fuori di noi.

Scrollarsi di dosso il passato vuol dire riappropriarsi del presente, del proprio Sé; vuol dire percorrere quel tratto di strada che ci proietta verso il futuro.

Scrivo queste riflessioni e condivido con chi legge il timore che “questo tempo” debba attendere a lungo prima di connotarsi come passato.

Il Covid-19 ha cambiato persone, abitudini. Per moltissimi è stato causa di sofferenza terribile per la perdita di persone care, aggravata dall’impossibilità di essere strumento di conforto per chi soffriva ed essere a loro volta confortati per il doloroso distacco.

Per i più fortunati ha rappresentato uno scossone che ha rotto equilibri ma ha anche dato l’opportunità di scoprire le risorse che sopivano dentro di sé.

Spesso è proprio di fronte alla paura che sentiamo crescere dentro di noi prima lo smarrimento e dopo una forza che ci fa sentire attivi. Questo avviene quando facciamo qualcosa per uscire dal blocco che la paura ha attivato in noi.

A volte è sufficiente un abbraccio da parte di chi riesce a donarci sostegno e protezione. A volte però questo non basta.

Dobbiamo concederci la possibilità di riconoscere in noi il bisogno di chiedere AIUTO.

Come farlo? Quanto è difficile dirsi: “così non sto bene”.

Il “come” è cambiato in questo tempo così particolare.

È cambiato anche il modo di chi di professione risponde alle richieste di aiuto psicologico.

Non posso accogliere con una stretta di mano.

Posso però essere accogliente in modo diverso. Le emozioni trovano sempre la strada per comunicare!

Lo schermo del computer è diventato anche per me il mezzo attraverso il quale non soltanto ho potuto continuare ad esercitare la mia professione ma ho potuto continuare a ricevere “aiuto”.

Aiuto in termini di formazione e di arricchimento di contenuti e materiali.

“La gratitudine è resilienza” ci ha ricordato ieri Roger Solomon in collegamento dagli Stati Uniti. Grazie all’Associazione EMDR Italia ho sperimentato il valore della associazione e della colleganza.

Quando pronunciamo la parola Grazie abbiamo certezza che qualcuno ha ascoltato la nostra richiesta e abbiamo così attivato la nostra resilienza.

Sono grata per tutti i grazie che ho la fortuna di pronunciare!

Quanto vale il nostro corpo!

Ci sono argomenti con i quali ci sentiamo poco a nostro agio, soprattutto quando il nostro interlocutore è un bambino.

I bambini pongono domande con sincerità e curiosità disarmanti e si aspettano risposte altrettanto sincere.

Non sempre però riusciamo ad assecondarli e questo non per una nostra cattiva volontà ma per i motivi più diversi. A volte, noi stessi abbiamo idee poco chiare, altre volte le nostre convinzioni sono pesantemente influenzate dai nostri  disagi o retaggi e allora ecco che cominciamo a formulare risposte, favoleggiando possibili affermazioni.

Quello che espongo in questo articolo è frutto di un lavoro presentato ad un gruppo di circa 20 preadolescenti che avevano l’occasione per porre tutte le domande sul tema del corpo. Come si può facilmente immaginare la prima domanda in coro è stata espressa in questi termini: valore? Perché valore e non funzione? L’analisi della domanda è il primo passo per una psicoterapeuta e in quella circostanza è stato l’inizio di un incontro dinamico da cui ne sono uscita, come sempre, più arricchita professionalmente e umanamente.

Ho detto loro che ero lì per parlare del valore perché loro sono speciali e tutto ciò che è speciale ha valore!

Con il supporto di immagini e di giochi appositamente studiati, ho proposto loro di sperimentare il confine che la loro pelle delinea rispetto agli altri. Hanno sperimentato, divertendosi, che esiste un confine intimo che nessuno deve oltrepassare, se non con il nostro consenso. Il nostro corpo, ho detto loro, è dotato di sistemi di allarme che dobbiamo imparare ad ascoltare e dobbiamo comunicare a chi ci protegge e ci vuole bene quando qualcosa ci impedisce di proteggerci da soli.

Non sono mancate osservazioni e riflessioni acute alle mie proposte. Alcuni di loro mi hanno fatto notare che, spintonarsi, scambiarsi qualche gomitata fa parte del gioco.

Grazie a queste considerazioni ho avuto modo di sottolineare loro che è il permesso dell’altro che ci legittima.

Il gioco prevede una reciprocità, uno scambio!

Imparare fin da piccoli che ci si può proteggere e che si può proteggere l’altro riconoscendone il valore credo sia un messaggio doveroso da parte di noi adulti, qualunque sia il nostro ruolo (genitori, educatori, insegnanti, nonni etc). Credo sia importante che fin da piccoli ricevano un messaggio forte e chiaro: il mio corpo ma anche il corpo degli altri non può essere offeso, umiliato, violato, danneggiato né in modo lieve né in modo irreparabile !

Tocca a noi adulti dunque indicare ai bambini prima e ricordare agli adolescenti dopo, il valore di tutto ciò che appartiene loro e agli altri, evitando di insegnare la funzione delle cose e il solo valore economico.


non insegnate ai bambini

ma coltivate voi stessi il cuore e la mente

stategli sempre vicini

date fiducia all’amore il resto è

niente

non insegnate ai bambini

.. recita un bellissima canzone di Giorgio Gaber.

Tu che stai leggendo sei d’accordo con la necessità di invitare i bambini a pensare al valore della appartenenza?

E concordi con me, quando sostengo che tutto questo debba essere comunicato senza l’ombra del giudizio?

Il corpo non è: bello/brutto, sano/malato, forte/debole. Il corpo è uno strumento potente che crea un ponte tra noi e gli altri. La metafora del ponte si presta per poter riflettere sull’opportunità di percorrere una direzione che ci avvicina ma, percorsa al contrario, può allontanarci dall’altro.

Il giudizio allontana!

Ricordate infatti: i bambini e gli adolescenti, prima di ascoltare le nostre parole, ci scrutano, indagano, vanno alla ricerca di possibili falle, incongruenze. Quando diciamo loro che sono unici dobbiamo evitare per esempio di suggerire modifiche al loro aspetto dicendo cose del tipo: <<  aggiusta i capelli; sistema la maglia; raddrizza le spalle; etc>>. Il rischio che corriamo , infatti,  è di inviare loro un messaggio del tipo: così non vai bene, devi modificare qualcosa affinché tu venga accettato, in primis, da me.

C’è un tempo per tutto e a volte bisogna  aspettare, prima di parlare.

Riuscire a sgombrare il tema “corpo” dal giudizio crea le premesse per poter affrontare altri aspetti importanti che ruotano intorno a questo tema.

Ogni bimbo è una raccolta di storie: quella di chi lo ha generato; quella di chi lo ha accolto ed amato; quella di chi è nato nella tristezza, nelle difficoltà; quella di chi è nato nella malattia o nella perdita.

Ogni bimbo però, fin da subito, ha una richiesta precisa da fare all’adulto: prenditi cura di me, da solo non ce la posso fare!

Sappiamo che è così. I piccoli dipendono dalle nostre cure o da chi può farlo per noi.

Rientra nei nostri compiti continuare ad occuparci dei loro bisogni. Sono le modalità che vanno modificate. E’ necessario accompagnarli alla consapevolezza dell’appartenenza. Devono gradualmente imparare che il corpo è il loro e che possono prendersene cura, possono difenderlo, proteggerlo e accettarlo quando cambia perché sta crescendo. E’ importante poter spiegare loro che i cambiamenti sono indicativi di qualcosa che è naturale e che appartiene all’essere unici.  

Credo sia di grande valore poter far riflettere i nostri piccoli interlocutori sul valore di confine che il nostro corpo delinea con la pelle. Dobbiamo spiegare loro che fin da quando sono nati abbiamo espresso il nostro amore prendendoci cura del loro corpo. I loro bisogni li hanno espressi senza che nessuno glieli spiegasse. Sono nati già pronti per chiedere e noi pronti per ascoltare.

Anche questo concetto va espresso con dosi massicce di sicurezza!

Quanta responsabilità dunque e quanta fatica! Noi sappiamo che il loro corpo cambia e cambierà così come cambia il nostro. Il cambiamenti sono necessari, normali, appartengono alla crescita. E’ necessario e delicato il percorso che segna un cambiamento anche del nostro ruolo. Dobbiamo continuare ad avere cura di loro aiutandoli a diventare protagonisti e custodi del loro corpo e ricordiamo di “non insegnare ai bambini”  ma di offrire loro un valido esempio.

La psicoterapia: luogo di incontro con se stessi

Spesso le persone che scelgono di intraprendere un percorso di psicoterapia pongono un interrogativo lecito e condivisibile rispetto a ciò che può cambiare nella loro vita.

Lo chiedono nonostante la fiducia nei confronti di questa modalità di cura.

Le domande sono tutte significative e come tali meritano tutte attenzione e tempo.

In questo articolo scelgo di dedicare una riflessione personale su questo specifico interrogativo dicendo quello che sono solita dire a chi mi rivolge questa domanda:≪Intraprendere questo percorso non servirà a cambiare nulla di ciò che sta fuori da questa stanza. Nulla, a parte il tuo modo di incontrare gli altri e te attraverso loro≫.

L’ incontro dunque rappresenta la parola chiave di questa riflessione. Principio di vita e principio di cura, l’incontro può rappresentare il più dolce o il più amaro dei momenti vissuti.

Una poesia di uno dei poeti del ‘900 da me preferiti recita così: “Un giorno da qualche parte, in qualche posto inevitabilmente ti incontrerai con te stesso. E questa, solo questa, può essere la più felice o la più amara delle tue giornate”. (Pablo Neruda)

Spesso le maggiori difficoltà delle persone sono proprio relative agli incontri: con il partner, con i figli, con i colleghi presso l’ambiente lavorativo e con se stessi!

Per  “capacità di incontrare” mi riferisco non ad una competenza ma alla possibilità di conoscere così bene noi stessi tanto da sentirci predisposti ad arricchirci attraverso l’incontro con l’altro.

Se proviamo a riflettere ci accorgeremo che ogni incontro è unico e la sua unicità è data dalla combinazione che i soggetti coinvolti determinano.

Scrivo queste riflessioni dedicando particolare attenzione alla chiarezza dell’esposizione del mio pensiero perchè lo propongo a Te che leggi!

Chi legge mi sta incontrando e nel rispetto di questo “incontro” investo il mio tempo e la mia attenzione.

Chissà, forse avremo modo di conoscerci personalmente e avrai la possibilità di integrare la conoscenza che hai fatto del mio pensiero con la conoscenza della mia persona.

Ci sono nuclei così intimi e nascosti che solo attraverso la sollecitazione di un incontro si attivano e ci comunicano qualcosa di importante e di esclusivo.

“Incontriamoci per un caffè” suona come una proposta amichevole in cui si esprime senza filtri la proposta di un incontro in una situazione informale. Quante volte però si esce delusi da quell’invito solo perché abbiamo constatato che l’altro non aveva intenzione di incontrarci ma aveva soltanto bisogno di un ascoltatore!

Abbiamo tutti necessità di essere ascoltati ma legittimarsi in questo bisogno ci renderà più empatici nei confronti di coloro verso i quali rivolgiamo la nostra richiesta.

Incontrare per conoscere meglio se stessi è più impegnativo ma rappresenta un obiettivo importante nel percorso di crescita personale.

Come donna e come mamma, prima ancora che come psicoterapeuta, credo che sia di fondamentale importanza conoscere bene se stessi per poter rendere l’incontro un valore aggiunto.

Nella mia personale esperienza ho sempre cara la frase che la dottoressa Leslie Leonelli mi disse ormai tanti anni fa, all’inizio del mio percorso terapeutico con lei, e che condivido con chi sta leggendo questo articolo: ≪Prima di incontrare me in questo studio, incontrerai te stessa e questo più di tutto ti renderà capace di ascoltare in modo attivo chi si confronterà con te≫.

È grazie all’incontro con lei che ho imparato a conoscere il mio “copione di vita” e solo grazie a questo ho potuto intervenire cambiando e migliorando quei nuclei che ostacolavano il raggiungimento di una piena serenità.

La comunicazione tra genitori e figli adolescenti

Come psicoterapeuta e come mamma di una giovane donna di 22 anni mi trovo spesso a rispondere a domande sulla difficoltà di comunicazione con gli adolescenti.

La prima cosa che dico mettendo in campo competenza ed esperienza è che la pazienza da sola non basta.

D’altro canto però, non condivido il pensiero molto diffuso che individua nell’adolescenza un periodo negativo che arriva per mettere a dura prova gli adulti che con loro si relazionano.

Non ci sono tecnicismi da seguire per adempiere bene al compito genitoriale.

Quello che è certo, grazie agli studi numerosi sull’argomento, è che una base sicura che garantisce accoglienza, accudimento, accettazione e protezione permette al bambino prima, all’adolescente dopo, di avere a disposizione gli strumenti necessari per affrontare il suo viaggio nel mondo!

Quando pensiamo alla comunicazione dobbiamo ricordarci che l’incontro che questa presuppone non è soltanto tra due individui, due generazioni, due storie, ma è quasi sempre l’incontro tra vissuti la cui complessità non è determinata dall’età anagrafica. Credo fermamente che questa realtà rappresenti il primo e fondamentale presupposto affinché la comunicazione renda possibile un “incontro” e non uno “scontro” come spesso avviene.

L’adolescente subisce molti cambiamenti sia a livello biologico che psicologico.

In lui/lei diventa prorompente il bisogno di svincolarsi, di esplorare.

Tutto questo è normale! Fa parte della sana crescita di ogni individuo.

Molto spesso però questo e altri bisogni tipici dell’età adolescenziale, quando vengono comunicati, provocano nei genitori o in chi si occupa di loro sentimenti di disagio, irritazione, rabbia.

Cosa dovrebbe dunque fare un genitore di fronte ad una richiesta che per lui non è accettabile?

La prima cosa da fare è leggere la realtà per quella che è.  È importante non confondere la propria storia con quella di nostro figlio o figlia.

Il rischio di contaminare la sua storia con il nostro vissuto emotivo o con un nucleo irrisolto della nostra esperienza è veramente molto alto.

Spesso, quando un genitore espone le difficoltà che si trova a gestire nella relazione con il figlio/a emerge molto chiaramente che il suo vissuto emotivo è quello di colui che viene criticato, messo in discussione.

La critica, è bene sapere, è un’arte nella quale gli adolescenti sono molto esperti!

D’altra parte, creare distanza per potersi distaccare non solo è necessario ma è anche molto funzionale.

Un altro vissuto che si riscontra è quello della sfida: “Ti comporti così per  complicarmi la vita“.

Aver paura per i contesti diversi dalla famiglia che l’adolescente vuole sempre più sperimentare è una paura lecita.

Viviamo in una società poco rassicurante da tanti punti di vista.

Riuscire però a dare strumenti utili per affrontare il FUORI sostenendo, incoraggiando e supportando è molto funzionale. Riuscire a comunicare le proprie diffidenze cercando strategie utili ad entrambi può rappresentare una valida soluzione.

Ascoltare in modo empatico è un dono prezioso che va valorizzato con l’esempio e non con le parole.

Tante possono essere le difficoltà che influenzano e condizionano la relazione con i figli; tante le paure, i traumi che ancora irrisolti rendono estremamente complesso il processo di separazione e individuazione.

È prezioso poter vivere il cambiamento come un’opportunità per stabilire legami ancora più saldi.

“Sei cambiato ed Io cambio con te“ rappresenta una prospettiva molto positiva che a volte è difficile attuare non per una cattiva volontà, né del genitore né dell’adolescente.

Le difficoltà possono avere origini lontane e in quel caso occuparsene rappresenta una soluzione necessaria per una qualità delle relazioni e della vita dell’individuo.

alberi-che-abbracciano

Come alberi
abbiamo radici da curare
e rami vigorosi
che non trattengono
ma abbracciano
ciò che di più caro abbiamo

(Margherita Lauro)